venerdì 26 aprile 2013

Intervista a Francesco Berto

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« I firmly believe that any man's finest hour, the greatest fulfillment of all that he holds dear, is that moment when he has worked his heart out in a good cause and lies exhausted on the field of battle. Victorious. »Vince Lombardi, Head Coach (1913-1970)

Segue l'intervista, già pubblicata su "L'eretico" e relativo sito web (ora irraggiungibile).

1 - Lei ha dichiarato la sua preferenza per i filosofi che "non si prendono troppo sul serio". Nel suo bel manuale introduttivo di logica (un piccolo cameo, leggibile, senza appesantimenti inutili e che colma uno spazio editoriale idealmente vuoto) sottolinea anche che il rigore non può e non deve essere rigor mortis. Questa è la filosofia che ci piace: la stessa di John Allen Paulos che dedica il suo "Penso, dunque rido" al rapporto inscindibile tra filosofia e humour.
Vogliamo approfondire questo tema?

Beh, a volte i filosofi faticano a spiegare ai profani perché uno dovrebbe fare filosofia – specialmente ai profani di un certo tipo (la domanda è: “a cosa serve?”).
C’è una serie di questioni che vengono comunemente etichettate come filosofiche. Sono domande del tipo: Tutta la realtà è materiale o no? L’uomo è immortale o no? Esiste il libero arbitrio? Che cosa possiamo conoscere con certezza? Che cosa sono i numeri? Esistono verità innegabili? Cos’è la verità? Che cos’è il bene? Che cos'è la volontà? Cosa vuol dire che una cosa ne causa un’altra? Cosa vuol dire esistere? Esiste una forma di governo ideale? Esiste Dio? E cos’è questo Dio, se esiste? … Eccetera eccetera eccetera.
E c’è anche un tipo di persone che, o non trova alcun mordente in queste questioni e non riesce a interessarsene;  oppure, anche se se ne interessa, non capisce perché qualcuno dovrebbe dedicarsi a tempo pieno a cercare di rispondere (e soprattutto non capisce perché qualcuno, e specialmente qualche istituzione, dovrebbe dare del danaro a chi svolge questa attività).
Penso che un buon modo per fronteggiare la situazione, da parte di chi invece si occupa di filosofia a tempo più o meno pieno, sia tenere un basso profilo: non pretendere che quello che fa sia eccezionalmente importante per gli altri. Naturalmente, questo non toglie che lo sia per chi lo fa. Quindi “non prendersi troppo sul serio” non vuol dire affatto svaccare (si può dire “svaccare” sulla vostra rivista?); si può essere molto dediti al proprio lavoro filosofico, e anche fieri dei propri risultati, senza pretendere che sia eccezionalmente importante per chiunque.
Questo è il senso che darei a “non prendersi troppo sul serio”. Già è difficile persuadere il tuo prossimo che non sei socialmente disutile… Almeno cerca di non essere anche antipatico!


2 - Visti i suoi interessi, è pressoché inevitabile parlare di Kurt Godel e dei suoi teoremi limitativi. Nonostante sia un nome di primaria importanza scientifica e filosofica, è sconosciuto al grande pubblico. Pare che non vi sia fine ai fraintendimenti (in buona fede) ma anche alle strumentalizzazioni di questi incolpevoli teoremi. Vogliamo provare a sintetizzare per i lettori con un tono accessibile di cosa parlano esattamente questi teoremi, che cosa "limitano" e - soprattutto - di cosa non parlano e cosa non limitano?

Per dimostrare i teoremi di Gödel passo per passo in una classe di logica potrebbe occorrere all’incirca un trimestre; e per spiegarli partendo da zero, potrebbe occorrere un libro. Posso provarci un po’, ma se volete capirci davvero, vi consiglierei (disinterssatamente) di comprarvi una copia di Tutti pazzi per Gödel!
Quelli che si chiamano correntemente Primo e Secondo Teorema di Gödel, o Primo e Secondo Teorema di incompletezza dell’aritmetica (diciamo: G1 e G2), sono due teoremi di logica matematica. Riguardano certi sistemi logico-formali.  Un sistema logico-formale consiste anzitutto in un linguaggio formale, ossia: in un linguaggio artificiale dalla sintassi esattamente definita, ideato a tavolino da logici, matematici, informatici e gente simile, per specifici scopi scientifici.
Su questo linguaggio è impiantato un insieme di regole e principi che consentono di costruire dimostrazioni formali logico-matematiche. Le formule che possono essere dimostrate in un sistema formale si dicono i teoremi di quel sistema.
I sistemi a cui si applicano G1 e G2 sono quelli che sono in grado di esprimere certe verità aritmetiche elementari, riguardanti i numeri naturali (i numeri interi positivi compreso lo zero: 0, 1, 2, 3, …). Si tratta di verità come quelle descritte dai cosiddetti assiomi di Peano: che ogni numero naturale ha un successore, ad esempio (ossia ha un numero che lo segue immediatamente nella serie: 1 è il successore di 0, 2 è il successore di 1, 3 lo è di 2, … , e così via); oppure, che sommando  zero a un numero qualsiasi, si ottiene ancora quel numero.
Sistemi che incorporano formule, le quali traducono nel linguaggio formale questi principi, e che includono un po’ di logica elementare, sono in grado di fare molte cose. Ad esempio, sono in grado di rappresentare tutte le verità aritmetiche dette in gergo ricorsive, perché le includono come teoremi.
Prima di Gödel, la gente si chiedeva se fosse possibile costruire un sistema formale in grado di risolvere tutti i problemi matematici. Il Primo Teorema di Incompletezza, G1, stabilisce che questo non è possibile: dato un qualsiasi sistema formale S in grado di esprimere l’aritmetica elementare, si può sempre trovare qualche formula aritmetica, diciamo g, che il sistema non può dimostrare né refutare. Di fronte alla domanda: g vale o no? Si dà il caso che g o meno? – il sistema non sa “decidersi”: non può né dimostrare una formula del tipo di g, ossia includerla fra i suoi teoremi; né dimostrare la sua negazione non-g, e così refutarla. Siccome ciò vale per qualsiasi sistema formale S abbastanza potente da esprimere l’aritmetica elementare, ne segue che l’aritmetica formalizzata è costitutivamente “incompleta”:  non si potrà mai costruire un sistema formale in grado di decidere tutti i problemi aritmetici e, a fortiori, tutti quelli matematici.
Questo non vuol dire che G1 di per sé attesti che ci sono problemi matematici assolutamente irrisolvibili. L’enunciato g indimostrabile in S può essere dimostrabile in qualche altro sistema, diverso da S, diciamo S1. Sennonché anche S1, cadendo sotto il Primo Teorema di Incompletezza, ha il suo tipo di formula indecidibile, diciamo g1, sicché a sua volta non può decidere tutti i problemi matematici.
Il Secondo Teorema di Incompletezza, G2, stabilisce che una di queste formule, che il qualsiasi sistema S in questione non può dimostrare, è la formula, diciamo k, che esprime nel sistema la coerenza di quello stesso sistema (ovvero il fatto che non vi si possono dedurre contraddizioni). Si tratta di una formula matematica, la cui interpretazione è k = “Il sistema S è coerente”. Detto in breve: il sistema S non può dimostrare la propria coerenza.
Questo non vuol dire che la coerenza dell’aritmetica formalizzata (da sistemi come S) sia una fede, si dice di solito. Infatti, si può provare la coerenza di S in un sistema formale “più potente” (qui ci sarebbe qualche sottigliezza, ma sorvoliamo) di S, diciamo S1. Sennonché, anche a S1 si applicano i Teoremi di Incompletezza, cosicché S1 non può a sua volta dimostrare la propria coerenza. Questa potrà essere provata solo in un sistema S2, … , che però ha lo stesso problema per la propria coerenza; e così via.
Dire cosa segue da questi risultati di Gödel è difficile. In Tutti pazzi per Gödel! ho fatto vedere che alcune cose di sicuro non ne seguono. Ad esempio, non ne segue che non esista una realtà oggettiva; che non ci siano verità incontrovertibili, di tipo religioso o filosofico o matematico; che la mente umana sia superiore a qualsiasi computer che potrà mai essere costruito; che il postmodernismo è l’unica filosofia che ci rimane. Tutte cose che sono state dette davvero.

3 - Cambiamo tema: perché, al di fuori di una pura curiosità intellettuale, interessarsi di filosofia nella concretezza della vita quotidiana...?

Come si è forse inteso dalla replica alla vostra prima domanda, la mia risposta è: non ne ho idea. J   Forse però ha qualche senso interessarsi di cose più specifiche e imparentate, almeno tradizionalmente, alla filosofia.

4 - ...e perché interessarsi di logica?

Ecco una delle cose imparentate, almeno tradizionalmente, alla filosofia, e di cui interessarsi nella concretezza della vita quotidiana. Bisognerebbe interessarsi di logica perché la logica si occupa della correttezza dei ragionamenti (ad esempio: fornisce criteri per distinguere i buoni ragionamenti da quelli cattivi). Uno degli effetti collaterali della logica è che, interessandocene, di solito miglioriamo la nostra capacità di ragionare.
In effetti, non sono neppure un logico (direi che mi occupo di filosofia teoretica, piuttosto). Ma studiare logica, a me, è servito per quello. Lo consiglierei a tutti perché, naturalmente, di solito nella vita è meglio ragionare bene.

5 - Prendiamo spunto da un piccolo collage di citazioni: se Franca D'Agostini privilegia una visione della filosofia come "disciplina dei fondamenti", Michael Dummett si spinge a definire la filosofia come ciò che resta dopo che le scienze, che da essa hanno preso forma, hanno "abbandonato la casa materna". Sulla stessa falsariga, il premio Nobel per la fisica Steven Weinberg parlava di "espropriazione" da parte della fisica delle riflessioni filosofiche su spazio e tempo. Come reagisce Francesco Berto?

Non so cosa sia de iure la filosofia, ma direi che circoscriverla de facto alle domande che restano dopo che si sono tolte via tutte quelle di cui si occupano le scienze è un po’ una fregatura (parlo da sindacalista della categoria, ora).
Ho listato una serie di tipiche domande filosofiche all’inizio di quest’intervista. Alcune forse ce le hanno soffiate le scienze (ma quali? Provate a rileggere la lista e chiedetevi se, secondo voi, qualcuna di quelle domande oggi è un problema ufficialmente risolvibile dalla scienza).
Nel peggiore dei casi, la filosofia ha una tattica per rigenerarsi e restare a galla meglio di un vecchio democristiano. Quando un qualsiasi argomento x le è stato sottratto, può sempre riciclarsi facendo la filosofia di x: “Filosofia delle neuroscienze”; “Filosofia della fisica”; “Filosofia della biologia”, “Filosofia del cyberspazio”; “Filosofia della computazione”; eccetera.
Tipicamente, la gente tenderà allora a chiedersi a cosa servono quelli che fanno la filosofia di queste cose. Consiglierei ai filosofi la risposta di cui sopra: volate basso o, almeno, cercate di non rendervi antipatici!

6 - Proviamo a chiarire per i nostri lettori cosa significa interessarsi di "ontologia degli oggetti materiali"?

Beh, certe cose del mondo sono “oggetti materiali”, il che vuol dire che hanno un certo indirizzo spaziotemporale: occupano un certo spazio, hanno una certa massa, sono sottoposte allo scorrere del tempo e, in linea di principio, potete sbatterci contro, tirargli un calcio o dargli un bacio (anche se magari di fatto non potete farlo, perché sono troppo lontane nello spazio e/o nel tempo perché possiate raggiungerle). Qualche esempio di oggetto materiale: Uma Thurman (col che non intendo trattarla come una donna-oggetto); il laptop su cui sto digitando; i pesci del mare; Ludwig Wittgenstein; e la città di Parigi.
Altre cose non sono oggetti materiali perché non hanno un indirizzo spaziotemporale, non occupano uno spazio, e non potete tirargli un calcio. Qualche esempio: la radice quadrata di due; i concetti; le funzioni ricorsive; la dittatura del proletariato; e i Teoremi di Gödel.
Più o meno tutti i filosofi (con qualche eccezione, Berkeley ad esempio) credono che esistano le cose del primo tipo. Se esistano le seconde è più controverso (Platone pensava di sì ad esempio; Ockham di no).
L’ontologia degli oggetti materiali si occupa delle cose del primo tipo, e affronta domande su quelle cose, del tipo:  hanno tre dimensioni o quattro? (Cioè: sono estese solo nelle tre direzioni dello spazio? O hanno anche una quarta dimensione, ossia sono estese nel tempo e hanno parti temporali, come sembra suggerire la fisica relativistica?); hanno proprietà essenziali, ossia senza le quali non potrebbero esistere? (Ad esempio: sono io essenzialmente un uomo? Potrei io – proprio io, quest’uomo qui che io sono – svegliarmi domattina tramutato in un grosso insetto, come succede a Gregor Samsa ne La metamorfosi?); possono due di quelle cose stare esattamente nello stesso posto nello stesso tempo? (ad esempio: una statua e il pezzo di marmo di cui è fatta sono due cose distinte che stanno nello stesso posto? O si tratta di una cosa sola, descritta in due modi diversi?); e così via.

7 - Parliamo un po' di Wittgenstein: come e perché è il suo filosofo preferito? Quale dei "due o tre" Wittgenstein in particolare?

Wittgenstein è il mio filosofo preferito per ragioni di ammirazione personale: sono sempre stato molto colpito da come è vissuto, dai sui pregi e difetti umani, e da come è morto. Credo anche di identificarmi un po’ col genere di questioni e passioni che lo tormentavano. Il che non vuol dire che abbia un briciolo del suo talento filosofico, o una porzione della sua caratura morale. Però mi piace.
Il cosiddetto “primo Wittgenstein”, naturalmente, non è altro che Wittgenstein, che scrisse il Tractatus logico-philosophicus e altra roba che non pubblicò, in un certo periodo della sua vita. E il cosiddetto “secondo Wittgenstein” non è altro che Wittgenstein in un periodo successivo della sua vita, in cui scrisse, ma non pubblicò, un sacco di altra roba, ritrattando, secondo alcuni, varie cose che aveva scritto nel periodo precedente. (Notate che, se gli oggetti materiali sono quadridimensionali, il primo e il secondo Wittgenstein non sono altro che due porzioni temporali del vermone spaziotemporale in cui Wittgenstein consiste; col che non intendo dare a Wittgenstein del verme, nel caso vi venisse il dubbio).