«
I firmly believe that any man's finest hour, the
greatest fulfillment of
all that he holds dear, is that moment when he has worked his heart
out in a good cause and lies exhausted on the field of battle.
Victorious. »Vince
Lombardi, Head Coach (1913-1970)
Segue l'intervista, già pubblicata su "L'eretico" e relativo sito web (ora irraggiungibile).
1
- Lei ha dichiarato la sua preferenza per i filosofi che "non si
prendono troppo sul serio". Nel suo bel manuale introduttivo di
logica (un piccolo cameo, leggibile, senza appesantimenti inutili e
che colma uno spazio editoriale idealmente vuoto) sottolinea anche
che il rigore non può e non deve essere rigor mortis. Questa è la
filosofia che ci piace: la stessa di John Allen Paulos che dedica il
suo "Penso, dunque rido" al rapporto inscindibile tra
filosofia e humour.
Vogliamo
approfondire questo tema?
Beh,
a volte i filosofi faticano a spiegare ai profani perché uno
dovrebbe fare filosofia – specialmente ai profani di un certo tipo
(la domanda è: “a cosa serve?”).
C’è
una serie di questioni che vengono comunemente etichettate come
filosofiche. Sono domande del tipo: Tutta la realtà è materiale o
no? L’uomo è immortale o no? Esiste il libero arbitrio? Che cosa
possiamo conoscere con certezza? Che cosa sono i numeri? Esistono
verità innegabili? Cos’è la verità? Che cos’è il bene? Che
cos'è la volontà? Cosa vuol dire che una cosa ne causa un’altra?
Cosa vuol dire esistere? Esiste una forma di governo ideale? Esiste
Dio? E cos’è questo Dio, se esiste? … Eccetera eccetera
eccetera.
E
c’è anche un tipo di persone che, o non trova alcun mordente in
queste questioni e non riesce a interessarsene; oppure, anche
se se ne interessa, non capisce perché qualcuno dovrebbe dedicarsi a
tempo pieno a cercare di rispondere (e soprattutto non capisce perché
qualcuno, e specialmente qualche istituzione, dovrebbe dare del
danaro a chi svolge questa attività).
Penso
che un buon modo per fronteggiare la situazione, da parte di chi
invece si occupa di filosofia a tempo più o meno pieno, sia tenere
un basso profilo: non pretendere che quello che fa sia
eccezionalmente importante per gli altri. Naturalmente, questo non
toglie che lo sia per chi lo fa. Quindi “non prendersi troppo sul
serio” non vuol dire affatto svaccare (si può dire “svaccare”
sulla vostra rivista?); si può essere molto dediti al proprio lavoro
filosofico, e anche fieri dei propri risultati, senza pretendere che
sia eccezionalmente importante per chiunque.
Questo
è il senso che darei a “non prendersi troppo sul serio”. Già è
difficile persuadere il tuo prossimo che non sei socialmente
disutile… Almeno cerca di non essere anche antipatico!
2
- Visti i suoi interessi, è pressoché inevitabile parlare di Kurt
Godel e dei suoi teoremi limitativi. Nonostante sia un nome di
primaria importanza scientifica e filosofica, è sconosciuto al
grande pubblico. Pare che non vi sia fine ai fraintendimenti (in
buona fede) ma anche alle strumentalizzazioni di questi incolpevoli
teoremi. Vogliamo provare a sintetizzare per i lettori con un tono
accessibile di cosa parlano esattamente questi teoremi, che cosa
"limitano" e - soprattutto - di cosa non parlano e cosa non
limitano?
Per
dimostrare i teoremi di Gödel passo per passo in una classe di
logica potrebbe occorrere all’incirca un trimestre; e per spiegarli
partendo da zero, potrebbe occorrere un libro. Posso provarci un po’,
ma se volete capirci davvero, vi consiglierei (disinterssatamente) di
comprarvi una copia di Tutti pazzi per Gödel!
Quelli
che si chiamano correntemente Primo e Secondo Teorema di Gödel, o
Primo e Secondo Teorema di incompletezza dell’aritmetica (diciamo:
G1 e G2), sono due teoremi di logica matematica. Riguardano certi
sistemi logico-formali. Un sistema logico-formale consiste
anzitutto in un linguaggio formale, ossia: in un linguaggio
artificiale dalla sintassi esattamente definita, ideato a tavolino da
logici, matematici, informatici e gente simile, per specifici scopi
scientifici.
Su
questo linguaggio è impiantato un insieme di regole e principi che
consentono di costruire dimostrazioni formali logico-matematiche. Le
formule che possono essere dimostrate in un sistema formale si dicono
i teoremi di quel sistema.
I
sistemi a cui si applicano G1 e G2 sono quelli che sono in grado di
esprimere certe verità aritmetiche elementari, riguardanti i numeri
naturali (i numeri interi positivi compreso lo zero: 0, 1, 2, 3, …).
Si tratta di verità come quelle descritte dai cosiddetti assiomi di
Peano: che ogni numero naturale ha un successore, ad esempio (ossia
ha un numero che lo segue immediatamente nella serie: 1 è il
successore di 0, 2 è il successore di 1, 3 lo è di 2, … , e così
via); oppure, che sommando zero a un numero qualsiasi, si
ottiene ancora quel numero.
Sistemi
che incorporano formule, le quali traducono nel linguaggio formale
questi principi, e che includono un po’ di logica elementare, sono
in grado di fare molte cose. Ad esempio, sono in grado di
rappresentare tutte le verità aritmetiche dette in gergo ricorsive,
perché le includono come teoremi.
Prima
di Gödel, la gente si chiedeva se fosse possibile costruire un
sistema formale in grado di risolvere tutti i problemi matematici. Il
Primo Teorema di Incompletezza, G1, stabilisce che questo non è
possibile: dato un qualsiasi sistema formale S in grado di esprimere
l’aritmetica elementare, si può sempre trovare qualche formula
aritmetica, diciamo g, che il sistema non può dimostrare né
refutare. Di fronte alla domanda: g vale o no? Si dà il caso che g o
meno? – il sistema non sa “decidersi”: non può né dimostrare
una formula del tipo di g, ossia includerla fra i suoi teoremi; né
dimostrare la sua negazione non-g, e così refutarla. Siccome ciò
vale per qualsiasi sistema formale S abbastanza potente da esprimere
l’aritmetica elementare, ne segue che l’aritmetica formalizzata è
costitutivamente “incompleta”: non si potrà mai costruire
un sistema formale in grado di decidere tutti i problemi aritmetici
e, a fortiori, tutti quelli matematici.
Questo
non vuol dire che G1 di per sé attesti che ci sono problemi
matematici assolutamente irrisolvibili. L’enunciato g
indimostrabile in S può essere dimostrabile in qualche altro
sistema, diverso da S, diciamo S1. Sennonché anche S1, cadendo sotto
il Primo Teorema di Incompletezza, ha il suo tipo di formula
indecidibile, diciamo g1, sicché a sua volta non può decidere tutti
i problemi matematici.
Il
Secondo Teorema di Incompletezza, G2, stabilisce che una di queste
formule, che il qualsiasi sistema S in questione non può dimostrare,
è la formula, diciamo k, che esprime nel sistema la coerenza di
quello stesso sistema (ovvero il fatto che non vi si possono dedurre
contraddizioni). Si tratta di una formula matematica, la cui
interpretazione è k = “Il sistema S è coerente”. Detto in
breve: il sistema S non può dimostrare la propria coerenza.
Questo
non vuol dire che la coerenza dell’aritmetica formalizzata (da
sistemi come S) sia una fede, si dice di solito. Infatti, si può
provare la coerenza di S in un sistema formale “più potente”
(qui ci sarebbe qualche sottigliezza, ma sorvoliamo) di S, diciamo
S1. Sennonché, anche a S1 si applicano i Teoremi di Incompletezza,
cosicché S1 non può a sua volta dimostrare la propria coerenza.
Questa potrà essere provata solo in un sistema S2, … , che però
ha lo stesso problema per la propria coerenza; e così via.
Dire
cosa segue da questi risultati di Gödel è difficile. In Tutti pazzi
per Gödel! ho fatto vedere che alcune cose di sicuro non ne seguono.
Ad esempio, non ne segue che non esista una realtà oggettiva; che
non ci siano verità incontrovertibili, di tipo religioso o
filosofico o matematico; che la mente umana sia superiore a qualsiasi
computer che potrà mai essere costruito; che il postmodernismo è
l’unica filosofia che ci rimane. Tutte cose che sono state dette
davvero.
3
- Cambiamo tema: perché, al di fuori di una pura curiosità
intellettuale, interessarsi di filosofia nella concretezza della vita
quotidiana...?
Come
si è forse inteso dalla replica alla vostra prima domanda, la mia
risposta è: non ne ho idea. J
Forse però ha qualche senso interessarsi di cose più specifiche e
imparentate, almeno tradizionalmente, alla filosofia.
4
- ...e perché interessarsi di logica?
Ecco
una delle cose imparentate, almeno tradizionalmente, alla filosofia,
e di cui interessarsi nella concretezza della vita quotidiana.
Bisognerebbe interessarsi di logica perché la logica si occupa della
correttezza dei ragionamenti (ad esempio: fornisce criteri per
distinguere i buoni ragionamenti da quelli cattivi). Uno degli
effetti collaterali della logica è che, interessandocene, di solito
miglioriamo la nostra capacità di ragionare.
In
effetti, non sono neppure un logico (direi che mi occupo di filosofia
teoretica, piuttosto). Ma studiare logica, a me, è servito per
quello. Lo consiglierei a tutti perché, naturalmente, di solito
nella vita è meglio ragionare bene.
5
- Prendiamo spunto da un piccolo collage di citazioni: se Franca
D'Agostini privilegia una visione della filosofia come "disciplina
dei fondamenti", Michael Dummett si spinge a definire la
filosofia come ciò che resta dopo che le scienze, che da essa hanno
preso forma, hanno "abbandonato la casa materna". Sulla
stessa falsariga, il premio Nobel per la fisica Steven Weinberg
parlava di "espropriazione" da parte della fisica delle
riflessioni filosofiche su spazio e tempo. Come reagisce Francesco
Berto?
Non
so cosa sia de iure la filosofia, ma direi che circoscriverla de
facto alle domande che restano dopo che si sono tolte via tutte
quelle di cui si occupano le scienze è un po’ una fregatura (parlo
da sindacalista della categoria, ora).
Ho
listato una serie di tipiche domande filosofiche all’inizio di
quest’intervista. Alcune forse ce le hanno soffiate le scienze (ma
quali? Provate a rileggere la lista e chiedetevi se, secondo voi,
qualcuna di quelle domande oggi è un problema ufficialmente
risolvibile dalla scienza).
Nel
peggiore dei casi, la filosofia ha una tattica per rigenerarsi e
restare a galla meglio di un vecchio democristiano. Quando un
qualsiasi argomento x le è stato sottratto, può sempre riciclarsi
facendo la filosofia di x: “Filosofia delle neuroscienze”;
“Filosofia della fisica”; “Filosofia della biologia”,
“Filosofia del cyberspazio”; “Filosofia della computazione”;
eccetera.
Tipicamente,
la gente tenderà allora a chiedersi a cosa servono quelli che fanno
la filosofia di queste cose. Consiglierei ai filosofi la risposta di
cui sopra: volate basso o, almeno, cercate di non rendervi
antipatici!
6
- Proviamo a chiarire per i nostri lettori cosa significa
interessarsi di "ontologia degli oggetti materiali"?
Beh,
certe cose del mondo sono “oggetti materiali”, il che vuol dire
che hanno un certo indirizzo spaziotemporale: occupano un certo
spazio, hanno una certa massa, sono sottoposte allo scorrere del
tempo e, in linea di principio, potete sbatterci contro, tirargli un
calcio o dargli un bacio (anche se magari di fatto non potete farlo,
perché sono troppo lontane nello spazio e/o nel tempo perché
possiate raggiungerle). Qualche esempio di oggetto materiale: Uma
Thurman (col che non intendo trattarla come una donna-oggetto); il
laptop su cui sto digitando; i pesci del mare; Ludwig Wittgenstein; e
la città di Parigi.
Altre
cose non sono oggetti materiali perché non hanno un indirizzo
spaziotemporale, non occupano uno spazio, e non potete tirargli un
calcio. Qualche esempio: la radice quadrata di due; i concetti; le
funzioni ricorsive; la dittatura del proletariato; e i Teoremi di
Gödel.
Più
o meno tutti i filosofi (con qualche eccezione, Berkeley ad esempio)
credono che esistano le cose del primo tipo. Se esistano le seconde è
più controverso (Platone pensava di sì ad esempio; Ockham di no).
L’ontologia
degli oggetti materiali si occupa delle cose del primo tipo, e
affronta domande su quelle cose, del tipo: hanno tre dimensioni
o quattro? (Cioè: sono estese solo nelle tre direzioni dello spazio?
O hanno anche una quarta dimensione, ossia sono estese nel tempo e
hanno parti temporali, come sembra suggerire la fisica
relativistica?); hanno proprietà essenziali, ossia senza le quali
non potrebbero esistere? (Ad esempio: sono io essenzialmente un uomo?
Potrei io – proprio io, quest’uomo qui che io sono – svegliarmi
domattina tramutato in un grosso insetto, come succede a Gregor Samsa
ne La metamorfosi?); possono due di quelle cose stare esattamente
nello stesso posto nello stesso tempo? (ad esempio: una statua e il
pezzo di marmo di cui è fatta sono due cose distinte che stanno
nello stesso posto? O si tratta di una cosa sola, descritta in due
modi diversi?); e così via.
7
- Parliamo un po' di Wittgenstein: come e perché è il suo filosofo preferito?
Quale dei "due o tre" Wittgenstein in particolare?
Wittgenstein
è il mio filosofo preferito per ragioni di ammirazione personale:
sono sempre stato molto colpito da come è vissuto, dai sui pregi e
difetti umani, e da come è morto. Credo anche di identificarmi un
po’ col genere di questioni e passioni che lo tormentavano. Il che
non vuol dire che abbia un briciolo del suo talento filosofico, o una
porzione della sua caratura morale. Però mi piace.
Il
cosiddetto “primo Wittgenstein”, naturalmente, non è altro che
Wittgenstein, che scrisse il Tractatus logico-philosophicus e altra
roba che non pubblicò, in un certo periodo della sua vita. E il
cosiddetto “secondo Wittgenstein” non è altro che Wittgenstein
in un periodo successivo della sua vita, in cui scrisse, ma non
pubblicò, un sacco di altra roba, ritrattando, secondo alcuni, varie
cose che aveva scritto nel periodo precedente. (Notate che, se gli
oggetti materiali sono quadridimensionali, il primo e il secondo
Wittgenstein non sono altro che due porzioni temporali del vermone
spaziotemporale in cui Wittgenstein consiste; col che non intendo
dare a Wittgenstein del verme, nel caso vi venisse il dubbio).