non però visti, spirti parlando
a la mensa d'amor cortesi inviti.
La prima voce che passò volando
"Vinum non habent" altamente disse,
e dietro a noi l'andò reïterando.
E prima che del tutto non si udisse
per allungarsi, un'altra "I' sono Oreste"
passò gridando, e anco non s'affisse.
"Oh!", diss'io, "padre, che voci son queste?"
E com'io dimandai, ecco la terza
dicendo: "Amate da cui male aveste".
E 'l buon maestro: "Questo cinghio sferza
la colpa de la invidia, e però sono
tratte d'amor le corde de la ferza.
Lo fren vuol esser del contrario suono;
credo che l'udirai, per mio avviso,
prima che giunghi al passo del perdono".
(Dante, Purg. XIII, 25-42)
Uno degli innumerevoli aspetti nell'opera del Sommo che colpivano in modo indelebile la fantasia di noialtri sbarbati studentelli liceali era senz'altro la sequela degli exempla del Purgatorio: in particolare gli esempi gridati nella seconda cornice (ove il Vate piazza gli invidiosi, trattandone nel canto decimoterzo testé appropriatamente citato) e nella cornice sesta (golosi); oltre naturalmente alle scene esemplari scolpite a volte sui pavimenti, più spesso sulle pareti, che - in breve - caratterizzano tutte le altre cornici e quindi l'intera seconda parte della cantica.
Per merito di quelle indimenticabili letture, non posso oggi fare a meno d'immaginare in cotal guisa per l'eternità (beh, siamo clementi: facciamo solo per 2512 anni...) una particolare categoria di poveri di spirito: coloro i quali, venuti in qualche modo - nel peggiore, a giudicare dai miserrimi risultati deduttivi - a conoscenza dei teoremi limitativi di Gödel, sono riusciti a trarne solo sesquipedali insensatezze filosofiche ed epistemologiche. Tra queste, citando a casaccio le meno abominevoli: che non esistano una realtà oggettiva e/o verità incontrovertibili; che la matematica sia tutta una costruzione sociale arbitraria e convenzionale, né più né meno di un regolamento condominiale o del colore più trendy nella prossima stagione autunno-inverno; che la razionalità sia del tutto inadeguata a comprendere il mondo; che il relativismo - nichilismo - postmodernismo - pensierino debole sia l’unica filosofia possibile; e altre spaventose idiozie del genere, imbibite di pregiudizio ideologico, malafede, sconsiderata retorica d'indeterminatezza universale e pessimismo esistenziale cosmico (accompagnare l'espressione con ampio e teatrale gesto apotropaico: terque quaterque etc.), che taluni possono pure liberamente compiacersi di cullare, ma che di certo non derivano logicamente dagli incolpevoli teoremi del Nostro.
Una siffatta scena dantesca si presenta puntualmente nella mia fantasia ogni volta che sono mio malgrado esposto, recalcitrando, a immondizia intellettuale del genere. Nella fattispecie, la voce più adatta a declamare gli exempla, e cioè le uniche vere conseguenze epistemologiche dei risultati limitativi più noti in Matematica (non solo quelli di Gödel) sarebbe senz'altro quella di Greg Chaitin.
Il più colossale merito di Gregory John Chaitin, sufficiente già da solo a scolpirne il nome in aere perennius, è quello di avere per primo colto (e pubblicamente divulgato) il profondo significato positivo e fecondo dei teoremi limitativi nell'attività matematica, tramite un risultato connesso a (e basato su) i risultati già noti di Gödel, Turing, Church e Cantor.
Semplificando all'osso: quei limiti indicano una vera ricchezza, intuitivamente nota a chiunque pratichi seriamente e convintamente l'attività matematica.
Il fatto che la conoscenza matematica non sia interamente "comprimibile" in un pugno di assiomi e relative derivazioni meccaniche ne caratterizza l'assoluta fecondità, la capacità di generare nuove sfide e nuovi problemi. Senza però minimamente incrinarne l'assoluto rigore.
Nella geniale rilettura chaitiniana, si evidenzia quindi la concezione dell'intera matematica come un sistema logicamente aperto: felice definizione che affonda le sue radici nelle idee di Ludwig Von Bertalanffy, Heinz Von Förster e Norbert Wiener.
Per inciso, uno dei migliori divulgatori della nozione di "apertura logica" e della sua collocazione nella teoria generale dei sistemi è senz'altro il fisico teorico Ignazio Licata, che peraltro e non a caso ha intitolato "La logica aperta della mente" il suo più recente lavoro (consigliatissimo).
Ma non è tutto, anche se la storia del risultato limitativo dovuto a Chaitin e della correlata teoria algoritmica della complessità (da non confondere assolutamente con la tradizionale complessità computazionale, relativa agli algoritmi!) sarebbe già sufficiente per riempire dei tomi: sono una decina, in effetti, quelli finora da lui pubblicati. La teoria porta peraltro anche i nomi di Andrei N. Kolmogorov e Raymond Solomonoff, che hanno fornito contributi sostanziali ma inizialmente del tutto indipendenti negli anni Sessanta e Settanta del secolo scorso.
Sebbene non vi sia alcuna speranza di rendere giustizia alle idee di C. in questi spazi, mi corre l'obbligo almeno di informare i miei tre lettori in merito alla costante che porta il suo nome, meglio nota come Ω: essa si rifà al problema della fermata di Turing ed esprime la probabilità di arresto di un programma per calcolatore i cui singoli bit sono ottenuti sequenzialmente con il lancio di una moneta ideale, in una sequenza perfettamente stocastica, impredicibile per definizione.
Un simile numero è trascendente, esattamente come pigreco: è quindi un numero reale non algebrico, con parte decimale aperiodica illimitata e nel caso specifico, compreso tra zero e uno (è infatti una misura di probabilità normalizzata).
Ma, al contrario del pigreco, non è comprimibile e non è computabile (Chaitin stesso lo definisce "Maximally uncomputable"), men che meno con un semplice e breve programma. Non soccorrono, in questo caso, i fratelli Chudnowsky di turno (da non confondere assolutamente - per carità! - con gli assonanti fratelli Wachowski del polpettone "matrix") per tirar fuori dal cappello a cilindro il valore con precisione arbitrariamente fissata alla i-esima cifra decimale usando un loro programmino su un casereccio cluster di PC di risulta assemblati nello scantinato, ciò che per contro è ampiamente possibile col pigreco.
Un simile concetto di casualità e incomprimibilità algoritmica potrebbe già essere noto a qualche lettore col nome di "complessità di Kolmogorov".
Il nostro buon Greg Chatin però - oltre all'enorme spessore professionale di decano ricercatore presso la gloriosa IBM e matematico applicativo - è un vero eretico, un pensatore originale in grado di suscitare spassosissime reazioni scomposte e isteriche in una vasta gamma di personaggi, inclusi i soliti inconsistenti saccentelli surciliosi.
A deteriorare definitivamente il suo rapporto con i mediocri invidiosetti, Gregory ha anche il dono di un'enorme umanità, la serena sfrontatezza di chi parla il linguaggio della verità, una capacità rara e contagiosa di trasmettere la sua inesausta passione per la matematica e l'informatica (e le belle donne, e la montagna), nonché uno stile divulgativo informale ed effervescente a metà via tra Richard Feynmann e Jorge Luis Borges (con quest'ultimo peraltro condivide l'origine argentina, con ambedue ha in comune una massiccia dose di genuina creatività).
Le domande filosofiche che egli si pone sono quelle spontanee e profonde con cui ogni matematico (computazionale) serio ha avuto a che fare fin dall'adolescenza: le sue risposte, più o meno condivisibili ma senz'altro meditate, delineano comunque una weltanschauung coerente e originale, che palesemente affonda le sue radici nell'opera di un certo Gottfried W. Leibniz (casualmente, s'intende...).
Tutto ciò traspare con immediato vigore nei testi di Chaitin: in special modo in quelli divulgativi, che ripercorrono e reintepretano in modo originale, informale, sopra le righe una via introspettiva e personalistica già tentata da Jacques Hadamard con "La psicologia dell'invenzione" e dalle varie (auto)biografie di matematici, a cominciare dai lavori di Bertrand Russell ed Eric T. Bell.
Tra le innumerevoli idee importanti destinate a restare purtroppo escluse dal presente post, ve n'è però almeno una che reclama il suo giusto spazio. Chaitin si definisce in più punti seguace e adepto del "costruttivismo" matematico, ma questa autodefinizione è vaga e - conoscendolo - volutamente non-specialistica.
Il fatto è che la gamma di posizioni "costruttiviste" in (filosofia della) matematica si è ormai estesa e ramificata a dismisura rispetto alle mere intenzioni iniziali degli intuizionisti Brouwer ed Heyting, tanto che ad oggi esistono decine di sfumature del costruttivismo - peraltro in sé assai difficile da definire: tra radicalismo e posizioni naif, dietro al singolo e comodo paravento dell'etichetta "costruttivismo" si cela in realtà una gamma imbarazzante di posizioni tra loro inconciliabili in merito ai problemi fondamentali, dal rifiuto dell'infinito attuale (e potenziale) all'antilogicismo, alla necessità di logiche indebolite.
Di fatto, ad uno sguardo distaccato le idee di Chaitin sembrano nel complesso piuttosto distanti da tutte queste correnti di pensiero.
Si può però fare ricorso a due chiavi di lettura per interpretare in quale senso C. parla di costruttivismo: da un lato, è vero che il costruttivismo è (quasi sempre, e quasi solo) un modo di fare matematica prima che una posizione filosofica.
D'altro canto, ciò che rende realmente "concrete" la matematica discreta e computazionale sono i suoi metodi, per natura "costruttivi" grazie alla quasi sistematica coincidenza tra dimostrazioni e algoritmi.
Appare dunque lecito e immediato dar credito a Chaitin di voler semplicemente sottolineare questi due aspetti in particolare quando usa espressioni relative al costruttivismo.
Leggendo invece con attenzione gli scritti di Chaitin, si scopre che le sue posizioni sui vari problemi fondamentali emergono in modo molto netto: dall'esistenza e natura del continuo, ai problemi correlati dell'infinito attuale e potenziale, dallo status ontologico degli oggetti matematici alla rilettura platonista delle sue proprie idee, dallo sperimentalismo computazionale fino all'uso di definizioni ben note come "quasi-empirismo" - quasi sempre accanto a riferimenti del tutto espliciti, primo tra tutti Imre Lakatos, ma anche Hermann Weyl ed Émile Borel (quest'ultimo di norma classificato tra i semi-intuizionisti o preintuizionisti).
L'idea che mi son fatto nel corso degli anni, da umilissimo Don Ferrante della filosofia della matematica quale io sono, è che la posizione teoretica complessiva di Gregory Chaitin - lungi dall'essere espressione di una imprecisata diramazione del costruttivismo matematico - è in realtà collocabile assai vicino al fallibilismo di Lakatos (di derivazione sfacciatamente popperiana) e comunque nell'area del più generico empirismo. Chaitin delinea un articolato sistema di pensiero collocabile sostanzialmente nel grosso filone contemporaneo dell'empirismo di matrice algoritmico-computazionale (che a sua volta moltissimo deve proprio a Chaitin stesso ed a Wolfram), ma con influenze significative di solidissime correnti filosofiche di empirismo matematico propriamente detto: in particolare quelle riferibili ai venerabili Putnam e Quine da un lato, ed ai fratelli Jon e Peter Borwein dall'altro.
Tentare di racchiudere il ricco e ramificato sistema di pensiero di Gregory Chaitin in un post, per quanto lungo, sarebbe fargli un torto che decisamente non merita. Non posso che rimandare al suo ricchissimo sito, presso il quale sono generosamente rese disponibili quasi tutte le sue pubblicazioni scientifiche e divulgative.
Imperdibili naturalmente anche i suoi libri, dei quali cerco di riassumere qui l'elenco completo.
• "Algorithmic Information Theory", Cambridge University Press, 1987
• "Information, Randomness & Incompleteness", World Scientific, 1987
• "Information-Theoretic Incompleteness", World Scientific, 1992
• "The Limits of Mathematics", Springer-Verlag, 1998
• "The Unknowable", Springer-Verlag, 1999
• "Exploring Randomness", Springer-Verlag, 2001
• "Conversations with a Mathematician", Springer-Verlag, 2002
• "From Philosophy to Program Size", Tallin, 2003
• "Teoria algoritmica della complessità", Giappichelli, 2006
• "Alla ricerca di Omega" (orig. "Meta Math!"), Adelphi, 2007
• "Thinking about Gödel & Turing", World Scientific, 2007
Per il lettore d'interessi più informatichesi, vale forse la pena di ricordare che alla terna dei testi più tecnici Springer-Verlag (il quarto, "Conversations with a Mathematician", è decisamente divulgativo) è correlata una serie di file sorgente in un dialetto LISP progettato da Chaitin stesso, supportato da una serie di interpreti forniti anch'essi in sorgente C e per Mathematica, tutti parimenti sviluppati dal Nostro: codesto materiale rimane liberamente disponibile presso il sito già indicato.
Dopo una intera vita di profonda sintonia e spontanea vicinanza ad alcune idee fondamentali ed "eretiche" esposte da Gregory Chaitin (e Stephen Wolfram, David Deutsch, Donald E. Knuth...), mi rendo conto che troppo ancora rimane da dire sulla "filosofia digitale" e sull'enorme influenza reciproca tra matematica e computazione, un abbraccio che fin dai tempi di Alan Matison Turing e John Von Neumann (ed è già difficile trattenersi dal dire "dai tempi di Leibniz") ha iniziato a cambiare in modo definitivo ambedue le scienze imperniate sulla logica, culminando in risultati di enorme valore epistemologico come l'isomorfismo di Curry-Howard e soprattutto in un modo innovativo di fare matematica e informatica - non più minoritario e malvisto, adottato ormai da generazioni di practitioners.
Le solite limitazioni contingenti mi impongono tuttavia di sospendere, per il momento, il discorso: nel segno della continuità, trovo che la conclusione migliore per il presente post sia la citazione leibniziana che apre la home page di Chaitin.
Sans les mathématiques on ne pénètre point au fond de la philosophie.
Sans les philosophie on ne pénètre point au fond des mathématiques.
Sans le deux on ne pénètre point au fond de rien.
Gottfried Wilhelm Leibniz